brace brace brace


Caso Caffaro – Brescia alla diossina, il nostro Vietnam

Brescia alla diossina, il nostro Vietnam

banner-bianco

Un cartello a Dong Son, in Vietnam, ricorda ancora dopo 40 anni il pericolo contaminazione (foto Livio Senigalliesi)

Un cartello a Dong Son, in Vietnam, ricorda ancora dopo 40 anni il pericolo contaminazione (foto Livio Senigalliesi)


il manifesto, 13-10-2013

Illustrato per il blog da Livio Senigalliesi

«I n alcune province si può camminare per venti, trenta chilometri senza incontrare un po’ d’ombra, un uccello, un insetto. Non è più possibile ascoltare il canto degli uccelli nel Sud Vietnam».

Iniziava così, di fronte agli uomini di scienza riuniti a Parigi nel dicembre del ’70, il discorso del capo delegazione della Repubblica del Vietnam del Sud. Cos’hanno in comune il sito inquinato nazionale «Brescia-Caffaro» e il delta del Mekong distrutto dalla guerra chimica? «I dati» risponde semplicemente lo storico dell’ambiente Marino Ruzzenenti, cui si deve la scoperta del «caso Caffaro».

Scarica il pdf

Scarica il pdf


L’intervista del ministro dell’ambiente Orlando al manifesto: “Brescia alla diossina, pagheranno i responsabili” intervista_Orlando_Brescia_diossina_pagheranno_responsabili

I superveleni. Nell’infelice corsa al confronto tra le tante necropoli dei veleni d’Italia Brescia batte molti primati. Il motivo è semplice e inquietante. A Brescia i superveleni che hanno contaminato l’ambiente non erano il sottoprodotto di lavorazioni pericolose ma il prodotto finito (fino al 1983) di una fabbrica chimica, la Caffaro, piantata nel cuore della città.

Per cinquant’anni, protetta indirettamente dalle lotte sindacali e dal brevetto «esclusivo» della statunitense Monsanto, la Caffaro ha prodotto i policlorobifenili (Pcb), sostanze tra le più tossiche e pericolose al mondo, disperdendone decine di tonnellate nell’ambiente.

Muro di cinta dell'industria chimica Caffaro, nel centro di Brescia (Foto Livio Senigalliesi)

Muro di cinta dell’industria chimica Caffaro, nel centro di Brescia (Foto Livio Senigalliesi)


«Di Brescia non si parla, c’è una spaventosa rimozione – spiega Ruzzenenti – forse perché la situazione è troppo grave». Il veleno negli anni è entrato nella catena alimentare, nel sangue della popolazione, nel latte materno.

Per i territori avvelenati a sud della fabbrica, in cui vivono i 25mila abitanti del sito inquinato di interesse nazionale (Sin), non c’è ancora nemmeno un progetto di bonifica. Intanto nel febbraio scorso lo Iarc, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, ha classificato i Pcb come «sicuramente cancerogeni» per l’uomo.

Marino Ruzzenenti, storico ambientalista bresciano, con la sua inchiesta nel 2001 ha costretto le autorità a considerare seriamente le conseguenze dell'inquinamento della Caffaro (foto Livio Senigalliesi)

Marino Ruzzenenti, storico ambientalista bresciano, con la sua inchiesta nel 2001 ha costretto le autorità a considerare seriamente le conseguenze dell’inquinamento della Caffaro (foto Livio Senigalliesi)


«Ho confrontato la contaminazione di Brescia con quella dei principali casi italiani – prosegue Ruzzenenti – con la Terra dei fuochi, con l’Ilva: non c’è paragone». A Brescia le diossine sono mille volte di più alte che nel cuore dell’Ilva di Taranto: 325mila ng/kg di sostanze con tossicità equivalente alla Tcdd, la diossina di Seveso.

E lo stesso vale per i terreni a sud della fabbrica e per i veleni che circolano nel sangue delle persone (1136 ng/g), in concentrazioni medie di Pcb superiori a quelli della popolazione in Francia (480) e Usa (85). «Qualche mese fa si è presentato da me un fotografo che è stato in Vietnam per documentare l’orrore della guerra chimica e poi si è messo a fotografare il sito di Brescia racconta Ruzzenenti -. Ho pensato che fosse solo una suggestione, ma poi ho provato a leggere i dati».

Vietnam, 30 anni dopo. Viaggio lungo il ‘Sentiero di Ho Chi Minh’ tra le giovani vittime dell’Agent Orange. Cam Nghia, Provincia di Quang Tri (foto Livio Senigalliesi)

Vietnam, 30 anni dopo. Viaggio lungo il ‘Sentiero di Ho Chi Minh’ tra le giovani vittime dell’Agent Orange. Cam Nghia, Provincia di Quang Tri (foto Livio Senigalliesi)


Dal Vietnam a Brescia. Livio Senigalliesi è un fotografo d’inchiesta che ha attraversato i principali teatri di conflitto. Kurdistan, Libano, Kosovo, Congo, Ruwanda, Afghanistan, Iraq. Nel 2011 è tornato in Indocina, a quarant’anni dalla fine della guerra in Vietnam, per documentare gli effetti lasciati sulla popolazione dall’Agent Orange, l’«erbicida» alla diossina spruzzato dai marines per distruggere la vegetazione in cui si nascondevano i Vietcong.

Il fotografo Livio Senigalliesi (www.liviosenigalliesi.com)

Il fotografo Livio Senigalliesi (www.liviosenigalliesi.com)


Una volta tornato ha cominciato a fotografare i quartieri inquinati di Brescia: via Milano, Primo Maggio, Chiesanuova. Dove il Comune da dieci anni, con un’ordinanza «urgente», vieta agli abitanti qualsiasi contatto con il terreno, ai bambini di giocare nell’erba, agli agricoltori di coltivarla. «La suggestione per me è stata folgorante», assicura Senigalliesi.

L’«ecocidio» Usa in Vietnam, dove si stima siano caduti più di 300 kg di diossina, ha certamente proporzioni ben diverse per estensione rispetto all’inquinamento della Caffaro, a meno che non si confrontino alcuni parametri. «I picchi di diossina presenti nelle basi militari di Da Nang, Bien Hoa e Phu Cat – sostiene Ruzzenenti – dove i soldati Usa caricavano i fusti di Agent Orange, sono sovrapponibili a quelli riscontrati nella Caffaro di Brescia. Intorno ai 350mila ng/kg». Ma tra Brescia e il Vietnam c’è una differenza.

Pierino Antonioli, contadino bresciano di 70 anni, nella sua stalla vuota. A causa della Caffaro nel 2001 ha dovuto abbattere i suoi capi di bestiame e ha perso tutto (foto Livio Senigalliesi)

Pierino Antonioli, contadino bresciano di 70 anni, nella sua stalla vuota. A causa della Caffaro nel 2001 ha dovuto abbattere i suoi capi di bestiame e ha perso tutto (foto Livio Senigalliesi)


Tentativi di bonifica a Da Nang. Gli Usa hanno cominciato a studiare un progetto di bonifica dei terreni dalla diossina nel Sud Vietnam. Una condizione che i vietnamiti hanno «imposto» per cominciare a riallacciare i rapporti con il vecchio nemico.

A Brescia manca invece un piano per la bonifica, le risorse e i mezzi. L’unica tecnica per ora accettata per la bonifica infatti è l’asportazione e l’isolamento del terreno in discariche speciali controllate. Come a Seveso, dove le «vasche» sepolte sotto il Bosco delle Querce ancora contengono intatto il tumore della diossina del ’76.

Leggi l'intervista al ministro dell'ambiente Andrea Orlando: "Pagheranno i responsabili"

Leggi l’intervista al ministro dell’ambiente Andrea Orlando: “Pagheranno i responsabili”


Ma se a Seveso e Meda è bastato, all’epoca, asportare uno strato superficiale di terreno, a Brescia l’intera zolla è impregnata di diossine e Pcb in profondità.

Forse la bonifica sperimentale che gli ingegneri Usa stanno mettendo in campo nella base militare di Da Nang non sarà efficace o non potrà essere esportata altrove. Prevede l’incapsulamento della terra contaminata in speciali sarcofagi, dove viene sottoposto a riscaldamento prolungato fino a 335 gradi nella speranza di poter distruggere la molecola di diossina. Ma almeno è un tentativo di far fronte a una bonifica che tecnicamente non ha precedenti.

Lo scorso 23 settembre il vicepremier Angelino Alfano e il vice primo ministro vietnamita, Hoang Trung Hai, si sono incontrati a Roma «per promuovere i rapporti economici e sostenere le nostre imprese» e annunciare l’apertura di un consolato generale ad Ho Chi Minh, vivace centro economico vietnamita, in vista di Expo 2015.

Chissà se avranno discusso anche di come rispondere ai loro avvelenati, abbandonati nelle terre alla diossina.

il manifesto, 13-10-2013

Andrea Tornago

Illustrato per il blog da Livio Senigalliesi

banner-bianco

intervista_Orlando_Brescia_diossina_pagheranno_responsabili

Il ministro Orlando: “Pagheranno i responsabili”

Licenza Creative Commons



L’intervento del prof. Marino Ruzzenenti. L’acqua per Brescia va cercata in montagna

Bisogna chiudere i pozzi

prof. MARINO RUZZENENTI, (ambientebrescia.it)

Vi sono dei limiti per la tutela delle acque di falda rigorosi (5 μg/l, ndr), superati i quali la falda è inquinata e andrebbe bonificata.

Se gli acquedotti attingessero a falde non inquinate non ci sarebbero problemi, e sarebbe rispettato anche il limite più restrittivo del Cromo VI; rimarrebbero forse alcuni problemi per i trialometani, in particolare il triclorometano o cloroformio, che si forma in parte in seguito alla clorurazione dell’acqua per prevenire il formarsi di muffe e batteri nei tubi, quando l’acqua ristagna.

Le città industriali, Brescia in particolare, hanno la falda inquinata: con i filtri a carboni attivi si può ridurre la concentrazione di inquinanti, ma non azzerare (in certi casi, anche con i filitri, è necessario chiudere i pozzi, come avviene a Brescia almeno dagli anni ’80).

Per non privare intere comunità dell’acqua l’analisi di rischio compiuta sui singoli contaminanti, ipotizzando un consumatore adulto di 60 kg per 2 litri/die, stabilisce dei limiti accettabili, che in diversi casi sono superiori a quelli previsti per la falda.

Tornando a Brescia, la questione acqua potabile è comunque serissima. Che fare?

1. prevenire qualsiasi possibile peggioramento disastroso della falda (sito Caffaro).

2. operare per la bonifica della falda (bonifica del Mella, bonifica dei terreni più contaminati, bonifica degli inquinamenti acuti da Cromo della falda superficiale,ecc.)

3. ipotizzare la chisura dei pozzi più inquinati e attingere una parte dell’acqua dalle fonti della Val Trompia (in alta Val Trompia, si regala l’acqua di qualità del Maniva ai privati, qualcosa come 150 milioni di bottiglie all’anno: perché?).

Marino Ruzzenenti

Riferimenti: sulla situazione della falda, delle acque e del fiume Mella: ambientebrescia.it/acqua; sulla qualità dell’acqua potabile 1, 2, 3; sull’inquinamento acuto da Cromo VI 1, 2.

Licenza Creative Commons