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Brescia, day 15

L’ombra del governo dietro alla resa di Kuldip e Papa?

Andrea Tornago

Dodici e quattordici giorni vissuti a stretto contatto con i compagni sulla gru di via San Faustino con la determinazione ad andare fino in fondo e poi improvvisamente, quasi si fossero sbagliati, ognuno per conto proprio due dei ragazzi scendono lasciando gli altri in bilico senza cibo e al freddo a trentacinque metri d’altezza. Basterebbe questa considerazione per sospettare che qualcosa di poco chiaro si celi dietro alla decisione di Kuldip Singh, indiano, e Papa Modou, senegalese, di abbandonare l’occupazione della gru del cantiere Metrobus.

Le prime indiscrezioni giungono a metà della scorsa settimana, quando il Giornale di Brescia parla dell’arrivo di una task force di mediatori inviata dal Ministero dell’Interno direttamente da Roma per trattare con i dimostranti sulla gru. Specialisti delle emergenze impiegati nella risoluzione di crisi con ostaggi, tutti stranieri di nazionalità corrispondente alle diverse provenienze dei migranti, incaricati di parlare e trattare con loro in lingua. Un’opzione assurda, dato che non si tratta di un atto terroristico né di una rapina con prigionieri, ma di un’occupazione accompagnata da precise e manifeste richieste politiche riguardanti una categoria sociale.

Ma il ministero, per mezzo della prefettura di Brescia, decide di non trattare. Linea dura con gli occupanti della gru e con chi li sostiene, blocco degli approvvigionamenti e delle comunicazioni, interdizione delle cure mediche e persino dell’alimentazione. Fino a pochi giorni fa sembrava questa l’irresponsabile strategia del governo, ma forse si riesce a scorgere qualcosa di più e di peggio dietro all’ufficiale richiesta di scendere senza condizioni. A fronte di un’assenza totale di risposta politica le istituzioni cercano in modo oscuro di corrompere i dimostranti con minacce e promesse rivolte ai singoli, spingendoli a cedere e a spezzare il fronte comune.

Che condizioni ha contemplato la trattativa condotta dai mediatori, sfociata nella resa individuale di Kuldip e Papa? Quali minacce sono state rivolte a Kuldip Singh dal mediatore, in lingua urdu, cui il ragazzo indiano ha risposto con rabbia? Quali promesse e quali privilegi sono stati accordati prima a Kuldip e poi a Papa, e a quali condizioni? S’è trattato di soldi, protezione, documenti? O quali altri privilegi, vincolati a quali obblighi? I cittadini italiani hanno il diritto di ricevere una risposta a queste domande, i giornalisti il dovere di formularle.

Una volta scesi, i due ragazzi che per quasi due settimane hanno animato la clamorosa protesta hanno rilasciato dichiarazioni che vanno ben oltre le comprensibili esigenze difensive concordate con il proprio legale. «Scendete, ho sbagliato. Non lo farò più, bisogna rispettare le regole», ha dichiarato Kuldip assieme al questore di Brescia Vincenzo Montemagno. Sembra inoltre aver dichiarato di essere stato spinto a salire da italiani mediante la rassicurazione che avrebbe ottenuto così il permesso di soggiorno.

Mentre Papa, sceso dalla gru dopo il discorso del padre (la cui identità nessuno ha ancora potuto verificare) avrebbe preso in considerazione il fatto che la sua domanda di regolarizzazione non era stata ancora rigettata. Sceso l’ultimo gradino, il 25 enne ha baciato la terra e se n’è andato tra le lacrime, concordando con il padre che era la forma di protesta sbagliata. Un po’ tardiva per essere una semplice intuizione.


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